Il sindacalismo rivoluzionario/atti convegno di Malaga '99

IL SINDACALISMO RIVOLUZIONARIO: Ascesa e decadenza (1890-1954)

Emilio Cortavitarte Carral

dagli atti dell'incontro di   Malaga – estate 1999


Presentazione
A Malaga, nella calda estate meridionale del 1999, un gruppo di persone, diverse per origini e situazioni, ma unite da inquietudini similari, si sono riunite per dialogare, senza l’affanno di arrivare a conclusioni, sul presente delle classi lavoratrici, sulle loro forme di organizzazione e di lotta.
Si trattava in realtà di appartarsi per un momento dalle esigenze e dai condizionamenti imposti ai suoi attori dalla quotidianità dell’attività sindacale Condizionamenti tali che – non mi sbaglio se lo affermo – portano molti di questi attori a chiedersi se per caso quanto vanno facendo non sia l’esatto contrario di quel che dicono i loro ideali e le loro aspirazioni.
La realtà del sindacalismo nel nostro paese e quella del contesto culturale ed economico che la circonda non credo che entusiasmi nessuno. Lavoro grigio, a volte assurdo, di bisticci burocratici o di dispute di campanile, certe volte difficile da spiegare a chi vive in una situazione di maggiore o minore esclusione rispetto ai "privilegi" dei possessori di un posto di lavoro adornato da un’aleatoria stabilità.
Da una parte la Scuola di Militanti si è proposta – forse con un eccesso di ambizione – di fare un excursus lungo la storia del movimento delle classi lavoratrici e delle loro forme di organizzazione e di lotta, con particolare riguardo a quelle che classicamente si sono ispirate a principi assimilabili al sindacalismo rivoluzionario o all’anarcosindacalismo, per giungere al presente, in una descrizione dei condizionamenti che l’attuale struttura di potere nel campo politico ed economico impone ai progetti di trasformazione sociale. Non si trattava di nessuna esibizione di sapere erudito, bensì di dialogare serenamente, liberati dal trambusto della routine sindacale, su qualcosa di tanto rimbombante ma di tanto elementare come cercare di chiarirci un poco sul "che siamo, dove andiamo, da dove veniamo".
Il complemento costruttivo di questo lavoro introspettivo è stato l’incontro del Sindacalismo Alternativo Europeo. Insieme a compagni venuti da altre terre, noi tutti ci rendiamo conto di non essere soli. Che molti lavoratori di luoghi differenti condividono ideali simili, dubbi, aspirazioni e delusioni, ma anche la certezza che il nemico è identico e che è molto sicuro di se stesso.
Il presente testo si limita a trasferire al lettore i testi presentati durante le giornate e aspira modestamente a suscitare dubbi ed a fare riflettere. E magari servire a confermarci un poco nelle nostre aspirazioni per una società più umana e degna, nonostante le incertezze che di giorno in giorno stanno in agguato intorno a noi.
Miguel Gonzáles Urien

Le teorie e le pratiche sociali non hanno un carattere atemporale, rispondono ad un determinato momento e a determinate circostanze storiche. Nemmeno il sindacalismo rivoluzionario è mai stato un qualcosa di statico, un corpo ideologico invariabile rispondente in maniera automatica ed inflessibile alle necessità ed alle volontà della classe operaia del nord o del sud Europa o dell’America australe.
Proprio per il suo carattere fondamentalmente attivo, per la sua dialettica fra pratica e teoria, per la sua volontà di partecipazione e di implicazione, per la sua apertura ed il suo calarsi all’interno della classe operaia – nei suoi momenti di ascesa – è stato un movimento sindacale aperto alla sperimentazione, all’innovazione, alla commistione…. Tutto il contrario di un rigido insieme di principi, tattiche e finalità.

Storici e teorici sociali offrono definizioni contrapposte del sindacalismo rivoluzionario. A parte la contrapposizione, sufficientemente dotata di evidenza, fra sindacalismo rivoluzionario e socialdemocrazia, nelle sue espressioni di natura politica e sindacale, esistono versioni differenti riguardanti la relazione fra sindacalismo rivoluzionario ed anarcosindacalismo, fra sindacalismo rivoluzionario e anarchismo. Le tensioni per definire un movimento autonomo, anche dall'anarchismo, le possiamo incontrare nel sindacalismo rivoluzionario lungo le sua fasi di ascesa e decadenza.
Edouard Dolléans commentando la figura di Émile Pouget, segretario aggiunto della CGT francese e direttore della pubblicazione La Voce del Popolo nei primi anni del secolo XX, scrive "…fu uno dei primi, il primo anarcosindacalista, espressione che sembra inesatta, poiché il sindacalismo rivoluzionario è una rottura nei confronti tanto dell’anarchismo quanto del socialismo".
Per contro, storici attuali opinano che sindacalismo rivoluzionario e anarchismo non solo non sono antagonisti bensì suppongono una sintesi di marxismo e anarchismo: "Precisamente l’anarcosindacalismo, o sindacalismo rivoluzionario, volle essere una sintesi fra la teoria marxista dell’analisi di classe o della sua concezione del processo storico e la tradizione anarchista della lotta senza intermediari politici".
Tuttavia Victor Griffuelhes, segretario generale della CGT francese e uno degli artefici della Carta di Amiens, sembra più vicino alla prima tesi: "gli uni si forzano per collegare le origini del movimento operaio attuale ai principi esposti dalla concezione anarchista, gli altri si dedicano, al contrario, a trovarli nella concezione socialista… Secondo la mia opinione, il movimento non rimonta a nessuna di queste due fonti. Non si collega direttamente a nessuna di queste due concezioni che vorrebbero disputarselo: è il risultato di una larga pratica, creata molto più dagli avvenimenti che da taluno o talaltro uomo".
Di più, secondo Dolléans che conobbe personalmente gli autori della Carta di Amiens, generalmente considerata l’origine programmatica del sindacalismo rivoluzionario, il riferimento alle sette nel secondo articolo era riservato agli anarcosindacalisti.
Per contro, Salvador Seguí, segretario generale della CNT assassinato da pistoleri del padronato nel 1923, e denigrato da certi anarchici puristi, fa un riferimento al richiamo ed al lavoro degli anarchici nella CNT: "oggi non spaventa, come in altri tempi, l'Anarchismo… Grazie all’influenza esercitata dagli anarchici è potuto avvenire che l’organizzazione sindacalista accettasse nei Congressi Regionali di Catalogna e Nazionale, del 1918 e del 1919 rispettivamente, la dichiarazione inclusiva del fatto che ci muovevamo verso la conquista del comunismo libertario, cosa che forse sarebbe stata respinta nel 1914 con l’allontanamento degli anarchici dalle organizzazioni".
Per Seguí l’anarchismo trova la sua ragion d’essere nel sindacalismo e questo si converte nella sua avanzata, nell’elemento che "sostituirà i valori borghesi e capitalisti". El Noi del Sucre [ovvero, in catalano, "il ragazzo dello zucchero", come era soprannominato Seguí in Catalogna; N.d.T.] riassume perfettamente questa simbiosi con la metafora del "Genio dell’anarchismo e l’uomo pratico del sindacalismo", in una conferenza tenuta nella prigione di La Mola, sul finire del 1920.
Ma è evidente che non tutti gli anarchici avevano la stessa concezione di classe e che questo provocò conflitti con il sindacalismo rivoluzionario. Per Federico Urales, qualificato propagandista anarchico ed editore della Rivista Bianca, "il comunismo libertario non è un ideale di classe e per tanto non deve essere difeso solo dai lavoratori, ma da quanti lo sostengano benché non dipendano da un salario".
Abbiamo dato fin qui alcuni esempi della difficoltà di stabilire una definizione monolitica o unidirezionale del sindacalismo rivoluzionario. Sembra molto più logico, ampio e accertato – tanto dal punto di vista dell’analisi storica quanto di quella socio-sindacale – accettare come punto di partenza la definizione di Marcel Van der Linden e di Wayne Thorpe, per la quale "i movimenti rivoluzionari di azione diretta… possono etichettarsi alternativamente come industrialismo rivoluzionario, sindacalismo rivoluzionario, anarcosindacalismo, concilismo o conciliarismo…".
Prenderò anche in prestito dall'articolo di Van de Linden e Thorpe le tavole che si riferiscono alle organizzazioni sindacaliste rivoluzionarie ed al numero dei loro affiliati (1), agli anni di fondazione, al periodo di massima influenza e sviluppo posteriore (2), quand'anche mantenga alcune discrepanze su quest'ultimo punto.
Alcune conclusioni immediate dell'analisi delle citate tavole sono: l'espansione internazionale (specialmente in Europa e America) di fronte alle teorie dei casi singolari con cui vengono aggettivate dalla storiografia ufficiale le esperienze del sindacalismo rivoluzionario e la coincidenza delle tappe di maggior influenza intorno alla seconda metà del secolo, eccezion fatta per la CNT, ed il fatto che nella maggioranza dei casi la loro decadenza è motivata dai processi di repressione posti in essere dai regimi totalitari che devastarono il mondo occidentale nelle prime decadi del secolo.

Dopo la divisione ed il fallimento della I Internazionale, gli intenti volti a rieditare una nuova internazionale nascono ancora una volta sotto il segno della scissione quando nel 1889, a Parigi, in occasione dell'Esposizione Internazionale si riuniscono due congressi. Uno con carattere fondamentalmente politico (in rue Pétrelle) e l'altro essenzialmente sindacale (nella rue Lancry), benché sia evidente che condividevano entrambi gli elementi. Il congresso della rue Pétrelle fu considerato il congresso costituivo della II Internazionale e quand'anche i partigiani del dare il primato all'azione politica avessero messo tutto il loro impegno per non emarginare le organizzazioni sindacali, ma al contrario per guadagnarle alla loro causa, certo è che la frattura fra socialdemocrazia e l'incipiente sindacalismo rivoluzionario andò accentuandosi.
Così nel Congresso di Bruxelles (1891) vengono espulsi gli anarchici e in quello di Zurigo (1893) si approva la scelta di non ammettere se non i sindacati che riconoscano "la necessità dell'organizzazione operaia e dell'azione politica".
Il Quarto Congresso della II Internazionale, tenuto a Londra nel 1896, fu lo scenario della rottura. Nonostante gli sforzi di alcuni delegati per non tornare a ad una nuova ripetizione "della lotta del 1872 fra Marx e Bakunin" o "della lotta fra l'autorità e la libertà", secondo le espressioni dell'olandese Domela Nieuwenhuis, le tesi che trionfarono nel Congresso di Zurigo tornano ad imporsi e restano fuori della II Internazionale tutte le tendenze antiautoritarie, federaliste e non vincolate all'azione politica e parlamentare.
Le testimonianze dei francesi riassumono perfettamente il dibattito e le posizioni a confronto. Per Jules Guesde: "L'azione corporativa si mantiene sul terreno borghese, non è inevitabilmente socialista ... E' al governo, cioè al cuore, che si deve colpire. L'azione parlamentare è il principio socialista per eccellenza. Non è dall'azione corporativa che si deve aspettare l'impossessamento dei mezzi di produzione: E' necessario innanzi tutto prendere il governo ...". Per contro, Fernand Pelloutier considera che "il movimento economico deve prevalere sul movimento elettorale" e che nel Congresso di Londra i difensori di questa tesi hanno cominciato a costruire "un serio movimento sindacalista, autonomo, non parlamentare, di azione diretta".
I sindacalisti rivoluzionari europei e, in particolare quelli francesi, lavorarono per la costruzione di una Internazionale Sindacale, che tenne la sua prima riunione a Parigi nel 1900 con delegati di organizzazioni operaie francesi, italiane, inglesi e svizzere. Negli anni successivi, le organizzazioni sindacali pi numerose e di orientamento socialdemocratico (in modo speciale, dopo l'ingresso dei sindacati tedeschi) finirono con l'imporre i propri criteri: ridurre l'Internazionale ad un Ufficio Sindacale Internazionale, non realizzare congressi operai internazionali e subordinare le proprie strategie ai congressi socialisti.
La disperazione dei sindacalisti rivoluzionari francesi di fronte all'impossibilità di discutere questioni come il militarismo, la giornata lavorativa di 8 ore o lo sciopero generale, li obbliga a starsene ai margini. Successivamente incontreranno problemi similari quando si tratterà di far prendere posizione a tutti i sindacati contro la I guerra Mondiale.
La CGT francese - creata nel 1902, secondo il suo primo segretario generale, dalla fusione fra il sindacalismo autonomo e indipendente ed il possibilismo delle Borse del Lavoro - fu quella che più chiaramente contribuì al sostegno propositivo del sindacalismo rivoluzionario.
Prima nel Congresso di Bourges (1904), in cui approvando la rivendicazione della giornata di 8 ore si ispirano al precetto della AIT, secondo il quale l'emancipazione dei lavoratori deve essere opera del proletariato, e disegnano una strategia di azione diretta per conseguire il citato obiettivo. dopo nel Congresso di Amiens, dove il dibattito sui rapporti fra i sindacati e i partiti si salda con la denominata Carta di Amiens che fissa la posizione circa l'autonomia sindacale:
1. Per quanto concerne gli individui, il Congresso afferma la piena libertà di partecipare, fuori dei raggruppamenti corporativi, alla forma di lotta che corrisponda alla propria concezione filosofica o politica, limitandosi a chiedere loro, in reciprocità, che non si introducano nel sindacato le opinioni professate fuori di esso.
2. Per quanto concerne le organizzazioni, il Congresso dichiara che, affinché il sindacalismo consegua il suo massimo effetto, l'azione economica deve esplicarsi direttamente contro la classe padronale, non dovendo le organizzazioni confederate, in quanto raggruppamenti sindacali,preoccuparsi dei partiti o delle sette che, fuori e parallelamente, possono perseguire, in tutta libertà, la trasformazione sociale.

Al margine delle differenti caratterizzazioni che gli elementi basilari e generali del sindacalismo rivoluzionario poterono avere in funzione di determinate circostanze sociali, congiunturali, antropologiche, etc., si può stabilire una serie di elementi fondamentali che conformano la loro ragion d'essere e di agire a livello generale o internazionale. E' evidente che alcuni di tali elementi furono utilizzati anche da organizzazioni essenzialmente socialdemocratiche o riformiste (specialmente quelli tattici), contingentemente, o da alcune delle federazioni in maniera più costante.

"I sindacalisti rivoluzionari vedevano gli interessi di classe come fondamentalmente irriconciliabili, e pertanto come inevitabile il conflitto di classe. Di conseguenza, mentre le loro associazioni operaie avevano come obiettivo i miglioramenti per i lavoratori nel breve periodo nel quadro del sistema vigente, adottarono anche l'obiettivo di lungo periodo dell'abbattimento del capitalismo e dell'istituzione di un sistema collettivo di proprietà produttiva controllato dai lavoratori".
Nel Congresso di Amiens della CGT francese si afferma: "I sindacalisti, antiparlamentaristi risoluti, sono decisi a sopprimere lo Stato come organismo sociale: decisi a fare sparire ogni governo delle persone, per affidare ai sindacati, alle federazioni, alle Borse del Lavoro, il governo delle cose, la produzione, la distribuzione, lo scambio, ...".
Nei congressi nazionali della CNT del 1919, 1931 e 1936 vengono approvate risoluzioni a favore del comunismo libertario. Le collettivizzazioni agrarie e industriali che furono compiute in Catalogna, Aragona, Andalusia e nel Pais Valencià, fra il luglio 1936 ed il maggio 1937, rispondevano a questi principi benché le circostanze della guerra ne deformassero in buona misura le dimensioni pratiche.

Lo strumento per impostare la lotta di classe e portare al termine la trasformazione sociale non è altro che il sindacato. Joan Peiró (segretario generale della CNT, direttore di Solidaridad Obrera y Catalunya, ministro dell'Industria nella II Repubblica, fucilato dal franchismo) assicura: " il sindacalismo è uno strumento per la lotta di classe ...il sindacalismo sarà la forza che abbatterà la società capitalista ed il mezzo attraverso cui si riarticolerà il meccanismo della produzione". Per dare maggior referenza storica alle sue asserzioni Peiró cita in quest'articolo, pubblicato su Acción Social Obrera nel 1925 vari dei più distinti sindacalisti rivoluzionari francesi come Pelloutier, Griffuelhes, Lagardelle e Pouget.
"Consideravano i sindacati come lo strumento cruciale per la lotta, per gli obiettivi sia immediati sia di lungo periodo" Pareccchie organizzazioni sindacaliste rivoluzionarie portarono i sindacati su altre sfere, come quella culturale, organizzando parallelamente allo Stato e d alla società capitalista un proprio sistema di insegnamento, proprie pubblicazioni, ... Così tanto la GCT quanto la CNT promuovono le proprie riunioni e pongono in movimento scuole sindacali, atenei, università popolari, ...

Per i sindacalisti rivoluzionari il modo più efficace di ottenere risultati a breve e lungo termine era "l'azione diretta e collettiva dei lavoratori, mobilitati principalmente contro i padroni nel fronte della lotta di classe e più generalmente contro la totalità del sistema socio-politico sul quale si ergeva 'economia capitalista".
Dolléans sostiene che, nonostante l'opposizione in spirito e tattica fra la Federazione Americana del Lavoro ed il sindacalismo rivoluzionario francese, quest'ultimo ricavò dall'organizzazione sindacale nordamericana il metodo della conquista diretta. In modo particolare, la proposta che i lavoratori realizzassero da sé stessi la giornata di 8 ore generalizzando un movimento che doveva culminare il 1° maggio 1886, mediante la sospensione del lavoro nei confronti dei padroni che non accettassero la riduzione della giornata lavorativa. Questo modello di condotta fu imitato dalla CGT francese nel suo Congresso di Bourges(1904), facendo del 1° maggio 1906 la data limite ed il giorno in cui i lavoratori e le lavoratrici  diretta: avrebbero abbandonato le fabbriche al termine dell'ottava ora di lavoro. Il risultato finale non fu la conquista della giornata di otto ore nella data stabilita, ma 2 anni di agitazione e lotta per la riduzione della giornata che terminò riguardando direttamente il settore minerario ed in maniera parziale anche gli altri.
Ma l'azione diretta era una tattica da utilizzare quotidianamente, che permetteva miglioramenti immediati e preparava la classe lavoratrice per le grandi conquiste. In una conferenza del 1904, Grffuelhes definisce così l'azione diretta: "...vuol dire azione degli operai medesimi, cioè azione direttamente compiuta dagli interessati ... Attraverso l'azione diretta l'operaio crea egli stesso la sua lotta, è lui che la conduce, deciso a non lasciare ad altri ma solo a s stesso il compito della sua emancipazione. La lotta deve essere di tutti i giorni ... Vi è ... una pratica quotidiana che va crescendo fino al momento in cui, giunta ad un certo grado di potere superiore, si trasformerà in una conflagrazione che noi chiameremo sciopero generale e che sarà la rivoluzione sociale".
Venti anni dopo Peiró approfondisce ancora di più la definizione di azione diretta, per darle un contenuto più decisamente politico. In un articolo su Solidaridad Obrera dal titolo "La nostra azione politica è l'azione diretta" segnala: "L'azione diretta utilizzata solo per risolvere i conflitti fra capitale e lavoro, a tu per tu fra padroni e operai, e per strappare qualcosa ai governanti, è un'azione diretta povera; è azione diretta ogni azione popolare che, mettendo da parte i politici professionisti ed il sistema parlamentare, ... si opponga a tutti i vizi, le corruzioni e le ingiustizie ... e distrugga tutti gli ostacoli posti dallo Stato alle iniziative liberatrici del popolo. E ripetiamo una volta di più che questa azione, concepita in seno al proletariato, non deve essere solo praticata attraverso e dal proletariato, ma anche attraverso il popolo e per il popolo".
In questa concezione dell'azione diretta dobbiamo inquadrare pagine illustri come la trasformazione di un conflitto contrattuale sorto nella società Canadese in uno sciopero generale organizzato dalla CNT catalana per più di 40 giorni e che, mentre spezzava qualsiasi pretesa del padronato in favore della doppia scala salariale, conseguiva la giornata lavorativa di 8 ore in tutti i settori.
In sintesi, questi elementi definiscono nella sostanza il sindacalismo rivoluzionario: "la classe operaia costituiva la forza per il cambiamento: l'ambito economico, il suo campo di battaglia naturale: l'azione diretta, la sua arma naturale e le associazioni operaie autogestite, gli agenti naturali per unire, ordinare ed applicare il potere collettivo e trasformatore degli operai".

La struttura delle organizzazioni
Le strutture interne delle organizzazioni del sindacalismo rivoluzionario non fu la stessa: quelle russe furono profondamente anticentraliste mentre la Industrial Workers of the World statunitense era essenzialmente centralista e metteva direttamente in contatto i sindacati industriali.
Con i limiti derivanti dalle dimensioni di questo studio e con la riserva originata dal fatto accertato che in molte organizzazioni convissero posizioni che si fronteggiavano per quanto riguarda la strutturazione organizzativa, si può affermare che le organizzazioni europee ebbero una struttura di tipo federale; in primo luogo, su base territoriale e, successivamente ed in aggiunta, in base ai diversi settori lavorativi.
Chi per prima prova questa doppia struttura organizzativa (territoriale e settoriale) è la CGT francese. Dopo un periodo di fusioni di sindacati di mestiere in federazioni d'industria, nel Congresso di Le Havre del 1912, si stabilirà per le diverse associazioni (residui di modelli organizzativi del secolo passato) l'obbligo di incorporarsi parallelamente in un'unione dipartimentale (territorio) ed in una federazione industriale (settore). L'anno successivo, il Primo Congresso Internazionale Socialista Rivoluzionario, tenutosi a Londra, adottò il sindacalismo industriale come forma per dare una migliore risposta ai raggruppamenti padronali ed alla complessità dell'organizzazione industriale originata dalla c.d. Seconda Rivoluzione Industriale.
Nonostante ciò, la OBU canadese maggioritariamente considerò il sindacalismo industriale come elemento estraneo al sindacalismo rivoluzionario e inferiore rispetto alla sua strutturazione per fabbriche e territorio. E la CNT solo dopo vari anni accettò i sindacati unici come cornice organizzativa dei precedenti sindacati di fabbrica: nel 1918 in Catalogna (congresso de Sants) e nel 1919 a livello nazionale (Congresso de La Comedia). Ma sarebbe passato ancora tempo per l'approvazione delle federazioni di industria, che non giunse fino al Congresso Straordinario del 1931 a Madrid (con 302.343 voti a favore, 90.671 contrari e 10.957 astensioni).
La valutazione di Peiró secondo cui le federazioni nazionali di industria servivano per "concentrare le iniziative e l'azione del proletariato ... su un piano nazionale di opposizione al capitalismo" e per preparare "la strutturazione dell'apparato economico del domani" fu contestato da García Oliver in quanto "recano in sé la disgregazione, uccidono la massa che noi abbiamo sempre disposta per poter essere lanciata contro lo Stato".
Nonostante la chiarezza della votazione congressuale, il processo di costituzione ed espansione delle federazioni di industria della CNT fu lento anche non motivato dal persistere della polemica.

Van der Linden e Thorpe ritengono che i fini ultimi del sindacalismo rivoluzionario fossero senza dubbio politici; in definitiva si trattava di sopprimere il sistema politico ed economico capitalista e lo Stato per stabilire una nuova società collettivista o comunista in cui il potere decisionale ed amministrativo restasse nelle mani delle classi popolari.
Dal che possiamo dedurre che non esistesse un rifiuto del politico in quanto ai fini. Per quanto riguarda i mezzi politici per conseguire tali fini, appare evidente che la preponderanza attribuita dai sindacalisti rivoluzionari ai sindacati, alla lotta economica e la preminenza data all'azione diretta, li collocavano fuori o di fronte ai mezzi politici utilizzati tanto dalla borghesia quanto dalla socialdemocrazia.
Léon Jouhaux, segretario generale della CGT dal luglio 1909, riassume in due frasi le posizioni del primo sindacalismo rivoluzionario. Di fronte ai delegati socialdemocratici in un congresso internazionale a Parigi dice: "forse per voi l'organizzazione politica è una grande nave e l'organizzazione economica una barchetta trainata da quella. Per noi, la grande nave è l'organizzazione sindacale: è necessario subordinare l'azione politica all'azione sindacale". Nel Congresso di Le Havre della CGT, per difenderne l'autonomia rispetto al Partito Socialista francese, proclama: "... Se la crescita, l'estensione della CGT non fossero di tale natura da far crescere, da fortificare il Partito Socialista, non verremmo abbracciati ... siamo amati, troppo amati, secondo la mia opinione, ma non ... con sufficiente disinteresse. Ed è qui quello che mi spaventa, ed è qui quello che mi inquieta; ed è qui il motivo per cui sono tra quelli che pensano sia necessario rimanere nella posizione che è la nostra già da molti anni ...".
Jouhaux si riferiva alla Carta di Amiens, ispiratrice dell'autonomia sindacale comune a tutte le organizzazioni sindacaliste rivoluzionarie. Di fatto, questa volontà di avere una strategia sindacale e politica propria, di non lasciarsi coinvolgere nelle reti della II Internazionale, dapprima, ed in quelle della III Internazionale, dopo (nonostante l'iniziale appoggio alla rivoluzione russa), è quella che porterà le organizzazioni sindacaliste rivoluzionarie a cercare formule che concilieranno la possibilità di affiliazione per i lavoratori e le lavoratrici appartenenti ad altre organizzazioni dal carattere più accentuatamente politico (o, per meglio dire, che privilegiavano la politica) - da un lato - con l'autonomia piena dei sindacati dall'altro lato.
Nel Plenum di Saragozza (1922), Peiró, Pestaña, Seguí e Viadiu elaborano una risoluzione sulla posizione della CNT in merito alla politica nazionale, in cui si propone: "Che la CNT dichiari che essendo un organismo prettamente politico, il quale rifiuta con franchezza ed espressamente l'azione parlamentare e di collaborazione con tutti i partiti politici, è nello stesso tempo integralmente ed assolutamente politica, perché la sua missione consiste nel conquistare i suoi diritti di revisione e fiscalizzazione di tutti i valori conseguiti con l'evoluzione della vita nazionale e per questo è suo dovere esplicare un'azione determinante attraverso manifestazioni di forza e di efficacia dei meccanismi della CNT".
Nonostante il trovarsi in circostanze conflittuali, illustri sindacalisti rivoluzionari fecero parte di governi popolari e, anche, interclassisti. Così, Peiró insieme a Federica Montseny, García Oliver e Juan López furono ministri del governo repubblicano di Largo Caballero, dal novembre 1936 al maggio 1937, due mesi prima altri 3 cenetisti erano entrati a far parte del nuovo governo della Generalitat di Catalogna, e Léon Jouhaux fece parte del Comitato di Soccorso Nazionale quando la Francia entrò nella I Guerra Mondiale.
In situazioni meno drammatiche, si verificarono alleanze fra sindacalisti rivoluzionari e partiti politici che rifiutavano il parlamentarismo o membri di partiti socialisti antiparlamentari (Canada, Germania), e nelle prime decadi del secolo nemmeno fu strano che affiliati ad organizzazioni sindacaliste rivoluzionarie fossero deputati parlamentari o avessero responsabilità in municipi (Francia).

Come si può osservare le tavole elaborate da Van der Linden e Thorpe - al di là dell'affidabilità di talune cifre ricavate dai registri delle stesse organizzazioni ivi citate - ci pongono di fronte ad un panorama del sindacalismo rivoluzionario in cui la sua "vita significativa" trascorre fra il 1900 e il 1940, la sua fase di massimo splendore (eccezion fatta per la Svezia e la Spagna) si colloca fra il 1910 e il 1920, benché le fasi maggiormente rilevanti delle due organizzazioni più significative si collochino in periodi diversi: la CGT francese nella prima decade del secolo e la CNT negli anni trenta.
Sono anche degne di menzione la rilevanza numerica e il peso nelle rispettive storie nazionali conseguiti dalla Casa del Obrero Mundial del Messico e dalla FORA argentina, oltre che l'importanza, non tanto numerica ma in termini di influenza, della nordamericana IWW e dalla USI e dalla UIL italiane. Nelle tavole non sono contati i sindacalisti e le sindacaliste rivoluzionari che fecero parte, formandovi correnti, di sindacati già esistenti, come in Inghilterra o Norvegia.

Gli stessi autori ritengono che vi sia un fatto storico fondamentale: il sindacalismo rivoluzionario sorge e si sviluppa in modo significativo durante il periodo dominato dalla Seconda Rivoluzione Industriale.
L'utilizzazione di nuove fonti di energia (elettricità e petrolio) e di nuovi mezzi di trasporto (motori a scoppia su automobili ed aerei), ma specialmente le innovazioni tecnologiche, la fabbricazione in serie, l'automazione e l'intensificazione della produzione, il taylorismo come sistema produttivo, i nuovi settori industriali e la crisi di quelli precedenti, influirono in maniera decisiva sulle condizioni di vita e di lavoro della classe operaia, in una fase storica complessa e diffusa il cui inizio viene generalmente fatto risalire al 1890, e la cui durata dipende dalle differenti congiunture nazionali.
La gestazione e l'ascesa del sindacalismo rivoluzionario in coincidenza con lo sviluppo della Seconda Rivoluzione Industriale per Van der Linden e Thorpe presenta cinque fattori interdipendenti: "la trasformazione dei processi e dei rapporti di lavoro; la insoddisfazione dei lavoratori rispetto alla strategia lavorativa dominante: la possibilità pratica di scioperi generali le influenze spaziali o geografiche e lo sviluppo di un atteggiamento radicale all'interno della classe lavoratrice".

Durante le due o tre decadi precedenti la Prima Guerra Mondiale, si venne preparando il potenziale per un'esplosione operaia che ebbe come fattori la stagnazione o la diminuzione relativa dei salari a fronte di una sempre più accentuata accumulazione di benefici da parte del capitale, e lo scontento tanto fra i lavoratori occasionali quanto fra quelli stabili dinanzi ai cambiamenti tecnologici e produttivi. A questo contribuì, senza dubbio, il crescente processo di urbanizzazione segregata della classe lavoratrice con la creazione delle condizioni idonee per sviluppare la solidarietà e la coscienza di classe.
L'evidenza maggiore è data dal considerevole aumento nella frequenza degli scioperi, nel numero degli scioperanti e dei giorni di lavoro perduti nel periodo 1910-1920. Tali scioperi, secondo Ernesto Screpanti nel suo studio sui "Cicli lunghi di sciopero", comportavano un "indebolimento dell'attrazione politica esercitata dalle istituzioni tradizionali sul comportamento degli operai. Sul piano sociale, il rifiuto degli operai di accettare qualsivoglia mediazione o filtro istituzionale per il conseguimento dei propri interessi e delle proprie mete, porta alla comparsa di militanti di base come protagonisti politici, di modo che i gruppi costituiti di lied di sindacati e di partiti vengono superati dai medesimi lavoratori e dalle loro organizzazioni di massa al momento di assumere decisioni". Situazione che favoriva la strategia e lo sviluppo del sindacalismo rivoluzionario, a partire dall'azione diretta.
Al ricorso all'azione diretta contribuì anche la specifica struttura della classe operaia, fondamentalmente composta da due categorie di lavoratori. Da un lato stavano i lavoratori e le lavoratrici con contratti di lavoro discontinui, alternanti periodi di lavoro e periodi di disoccupazione, cambio di padroni e di settori, compreso il cambio temporaneo di residenza. A questo gruppo appartenevano gli operai e le operaie (giornalieri senza terra del sud Europa) del campo delle costruzioni, dei porti o del gas. Ed era abbastanza comune, specialmente nel centro e nel nord Europa, che lo stesso lavoratore o lavoratrice svolgesse uno o più di questi lavori nel corso di un anno e secondo i periodi di maggior domanda.
Questo tipo di lavoratori non poteva permettersi il lusso di aspettare circostanze migliori (piani di resistenza di lungo periodo, fondi per lo sciopero, arbitrati o mediazioni) per fare le sue rivendicazioni, doveva agire con rapidità e determinazione prima del termine del suo eventuale contratto. "L'attrazione del programma di azione diretta del sindacalismo rivoluzionario per i lavoratori occasionali o temporanei risulta ovvia".
La seconda categoria era formata da quei lavoratori fissi le cui condizioni di lavoro e di salario venivano sostanzialmente trasformate dai cambiamenti tecnologici e produttivi della rivoluzione industriale. Lavoratori e lavoratrici che fino ad allora avevano goduto di una certa qualificazione si vedevano retrocessi e, in molti casi, parificati agli strati più bassi, insieme ai lavoratori ed alle lavoratrici occasionali o con quelli facenti parte della nuova mano d'opera immigrata dalle zone rurali. La meccanizzazione ed i nuovi processi facevano a meno, in molti casi, della precedente necessaria destrezza e dell'esperienza. Secondo Paul H. Douglas, "proprio il processo di meccanizzazione che rese il lavoro più specializzato finì col rendere meno specializzato il lavoratore".
Insieme ad una certa dequalificazione, si introducono nelle imprese meccanismi di supervisione diretta da parte degli imprenditori con il che il rapporto fra lavoratori e capisquadra o incaricati della sorveglianza andò a scapito dei primi (negli USA si passa da un rapporto 16:1 nel 1900, ad un rapporto 10:1 nel 1920. La supervisione diretta persegue il controllo, la docilità e la maggior produttività da parte dei lavoratori e le lavoratrici, mediante i lavori a cottimo, i premi, la promnozione interna, ... Questa situazione portò gli operai qualificati a cercare formule di resistenza congiunta che lo avvicinarono alle posizioni del sindacalismo rivoluzionario.
Inoltre, questa situazione di mobilità (funzionale e geografica) facilitò una visione unitaria degli interessi della classe lavoratrice e contribuì al superamento dell'organizzazione per mestieri e ad una visione più confederale da parte delle organizzazioni sindacali, in special modo del sindacalismo rivoluzionario.
Anche la nuova posizione del proletariato industriale fa della vecchia idea della sospensione collettiva del lavoro da parte degli operai una possibilità pratica. L'economia era sufficientemente dipendente dal lavoro salariato, e la classe operaia possedeva una grado di organizzazione e solidarietà sufficiente per affrontare lo sciopero generale. Con esito variabile e con rinnovato brio per l'esperienza russa del 1905, lo sciopero generale verrà sperimentato in Belgio, Svezia, Olanda Italia e Spagna.

Dopo una prima fase della Seconda Rivoluzione Industriale (che avrà date differenti in funzione del suo sviluppo in ciascuno spazio geografico), in cui l'interesse padronale era incentrato sulla "deregulation" per portare a termine il profondo cambiamento delle relazioni lavorative e l'applicazione dei nuovi metodi e modi di produzione, si verificò una seconda fase in cui si venne forgiando una regolamentazione o istituzionalizzazione delle relazioni lavorative. Si introducono forme di contrattazione collettiva e di arbitraggio e mediazione e, fondamentalmente, le organizzazioni sindacali corporative e socialdemocratiche accettano il ruolo di "disciplinare" i lavoratori e le lavoratrici.
In taluni casi, differenti circostanze (accumulazione del capitale, concentrazione delle imprese, isolamento o inefficacia dei partiti socialdemocratici, ...) fanno sì che quello che i sindacati liberi o socialdemocratici possono offrire, durante questi anni, sia tanto poco appetibile da creare ampi strati di affiliati e affiliate scontenti, critici verso la moderazione e la burocratizzazione dei loro organismi sindacali.
Benché questo scontento non sia direttamente trasferibili per la creazione o l'ampliamento delle organizzazioni del sindacalismo rivoluzionario, nonostante i richiami della CGT francese a rivoluzionare le organizzazioni riformiste, si può concludere nel senso che contribuì, ed in determinate circostanze obbligò le direzioni degli altri sindacati ad "adottare principi sindacalisti rivoluzionari".

In altra parte ho segnalato la preoccupazione del sindacalismo rivoluzionario per costituire propri organismi di insegnamento e cultura (atenei, scuole sindacali, università popolari). Il che aveva un doppio obiettivo. In prima istanza l'opera del sindacato era diretta nell'immediato a preparare i propri affiliati: in seconda istanza e con un obiettivo più elevato, a fornire la capacita sufficiente per l'assunzione delle incombenze di una rivoluzione totale, anche a livello personale.
La preoccupazione di Pelloutier o di Pouget per la cultura e la capacità intellettuale dei lavoratori e degli affiliati che si manifesta nelle risoluzioni er nella pratica della CGT francese, avrà una speciale importanza in Spagna. Nella sua conferenza nel castello-prigione di La Mola, Seguí afferma: "abbiamo un problema importantissimo che il proletariato deve risolvere. Quello della cultura. Che faranno i lavoratori il giorno dopo la rivoluzione per quanto attiene a questo problema? Che faranno degli atenei, delle biblioteche, delle scuole, degli istituti professionali? Dobbiamo creare nostre Università e nostri Atenei ... Se no avessimo tempo ... Utilizzeremmo le cose utilizzabili della borghesia e, intanto, comporremo il nostro lavoro".
Il lavoro ingente sviluppato nel campo della cultura e dell'insegnamento dalle organizzazioni sindacaliste rivoluzionarie più numerose ha permesso grandi risultati, a parte l'alfabetizzazione e acculturizzazione del sistema pubblico in Catalogna durante la II Repubblica (Puig i Elias e il Comitato della Nuova Scuola Unificata).
Ma portò anche a creare una controcultura. Una controcultura che dava all'operaio un senso di sicurezza, di capacità, di autorispetto di fronte alla classe dominante. "La cultura borghese, che si estende a tutti gli aspetti dell'esperienza umana, deve essere del pari contestata da una sfida rivoluzionaria totale".

Nonostante il suo importante peso specifico, l'influenza sociale e politica e l'importanza storica, anche nei momenti di ascesa il sindacalismo rivoluzionario è minoritario rispetto all'insieme delle organizzazioni sindacali, con le eccezioni della CGT, della Casa e della CNT nei rispettivi territori ed in epoche determinate (generalmente prerivoluzionarie).
Si questo accadeva nei periodi più rivendicativi o radicali, in cui come abbiamo visto il sindacalismo rivoluzionario aveva maggior notorietà, nelle fasi storiche di relativa stabilità il suo peso quantitativo fu ancor minore.

Una delle cause fondamentali del declino del sindacalismo rivoluzionario è stata la repressione, fondamentalmente statale, esercitata sulle sue organizzazioni. L'opposizione del sindacalismo rivoluzionario alla guerra, ai fascismi e alle formula lavorative di controllo e attenuazione del conflitto di classe ne fece un invitato scomodo ed un obiettivo prioritario della repressione.
La trasformazione della CGT francese in un sindacato sempre più riformista - benché alcuni storici (Dolléans, Julliard) ritengano che questo fosse in nuce già da alcuni anni - ha a che vedere con le differenti posizioni che furono assunte verso la Grande Guerra. In Italia, Portogallo, Germania, Olanda e Spagna sono i vari regimi fascisti che decapitano e reprimono le organizzazioni sindacaliste rivoluzionarie fino alla pratica sparizione.
Un totalitarismo di altra matrice ideologica represse i sindacalisti rivoluzionari russi. La controrivoluzione messicana si accanì contro la Casa, e strutture poliziesche speciali e la mafia dettero il colpo di grazia alla IWW negli USA.

Ma, è importante considerare anche le difficoltà del sindacalismo rivoluzionario ad adattarsi all'evoluzione del sistema capitalista, specialmente negli Stati più sviluppati.
La capacità di integrazione della classe lavoratrice nei rapporti capitalisti maggiormente avanzati di produzione e consumo (sistema fordista), è molto superiore rispetto a quanto accadeva nelle prime decadi del secolo. L'accesso al consumo di massa da parte dei lavoratori e delle lavoratrici è un frano alle rivendicazioni, poiché permette al capitale di estendersi, e nello stesso tempo migliora il livello di vita dei produttori e riproduttori di mano d'opera.
Questo processo verso lo Stato del benessere, più o meno incipiente, e l'integrazione a lungo termine dei lavoratori, hanno trovato l'avallo dei partiti socialdemocratici e delle loro organizzazioni sindacali, il che ha costituito una pressione ulteriore per quelle organizzazioni sindacaliste rivoluzionarie che ebbero la sorte di non soffrire dure repressioni. Come nel caso della SAC svedese e dei sussidi per la perdita di impiego.

Altro elemento che considero chiave nel declino del sindacalismo rivoluzionario è la mancanza di un referente internazionale prossimo e positivo, dopo il 1939. Con la vittoria militare di Franco (quand'anche si debba aver presente che in Spagna si produsse una sollevazione militare che "laddove fallì dette inizio alla trasformazione dei valori dominanti, delle strutture sociali, così come una rottura fondamentale dei meccanismi di controllo dello Stato e delle sue istituzioni") finisce l'ultima opportunità di opporre alla rivoluzione russa un'altra esperienza rivoluzionaria che marcasse le differenze, dove "l'egualitarismo economico doveva armonizzarsi con la libertà individuale di espressione".
La sensazione di sconfitta, ma fondamentalmente il vuoto che si produce nel 1939 nel movimento sindacale rivoluzionario, nell'anarcosindacalismo e nell'anarchismo è stato uno dei fattori basilari del suo declino successivo.

Nel loro articolo Van der Linden e Thorpe danno tre uscite al sindacalismo rivoluzionario nella nuova situazione dello Stato del benessere e di integrazione di lungo periodo dei lavoratori. Secondo loro, le organizzazioni sindacaliste rivoluzionarie o si emarginano mantenendo fermi i propri principi, o di integrano adattandosi e mutando rotta nei suoi aspetti fondamentali, oppure si disgregano o si fondono in una nuova organizzazione sindacale non rivoluzionaria, con il che peraltro si integrano lo stesso.
La trappola di questa posizione sta nel collocare qualsiasi processo di adattamento in un'ottica di rinuncia. L'errore teorico, dal mio punto di vista, sta nel fare di una foto statica il paradigma del sindacalismo rivoluzionario e dell'evoluzione della società capitalista (come la fase attuale di neoliberalismo).
Vediamo se il sindacalismo rivoluzionaria sia qualcosa di più di una risposta radicale a una determinata situazione del proletariato, quand'anche sia evidente - come credo che essi stessi dimostrino e come è riflesso in questo lavoro - che la situazione attuale è relativamente significativa, sebbene in fase di recupero.
Se il sindacalismo rivoluzionario corrisponde unicamente ad una fase storica è evidente che il suo tempo è passato. Ma questo si tradurrebbe in una discussione accademica e poco o nulla porterebbe al dibattito sociale e politico attuale, alla possibilità o no di creare un'alternativa sindacale rivoluzionaria.
"Questo vuol dire che i documenti classici di una dottrina sociale non possono essere di più di un tentativo di formulare e riassumere "la verità", e che questi documenti si basano meno su scoperte valide quanto più sono vecchi ... Il marxismo come regressione sociale, con i suoi dogmi, la sua infallibilità la sua inquisizione, è un fenomeno che ci spaventa. Se cerchiamo di imitarlo come anarcosindacalisti, sarebbe cosa fatale per noi stessi e per i nostri ideali libertari. L'investigazione libera è la condizione primordiale per ogni attività libertaria".

Emilio Cortavitarte Carral
Scuola di militanti della CGT
Malaga, 7 luglio 1999