lunedì 5 marzo 2012

lo SCIOPERO GENERALE

Lo sciopero generale è l’estremizzazione dello sciopero (in francese grève, in spagnolo huelga, in inglese strike), che riguarda e coinvolge, tutti i lavoratori di un paese (oppure tutti i lavori di un determinato settore, in questo caso si parla di "sciopero generale settoriale"), attraverso il quale i lavoratori intendono colpire gli interessi della classe padronale e difendere i propri.
A proposito di sciopero generale
Non avendo altre capacità che le proprie forze, i salariati non hanno altro mezzo che interrompere la loro attività produttiva e creare un danno economico ai loro “padroni”, se vogliono conquistare quel che diritto in più. Il diritto allo sciopero generale resta uno dei fondamentali mezzi di pressione che i lavoratori possono utilizzare contro il padronato. Recenti "innovazioni" reazionarie stanno però cercando di stravolgerne la forza: nei paesi in cui lo sciopero è legale non mancano tentativi per limitarne l’efficacia, per criminalizzarlo o addirittura per sopprimerlo del tutto.
L’idea dello sciopero generale nasce con lo sviluppo del movimento operaio nel XIX secolo. Inizialmente lo sciopero assume spesso un carattere rivoluzionario, per cui per lungo tempo persiste confusione tra sciopero, sommossa e insurrezione; talvolta quindi lo sciopero stava ad indicare un’insurrezione o una sommossa e viceversa.
Storia dello sciopero generale
Secondo molti storici l’idea dello sciopero generale nacque nel corso degli eventi della Rivoluzione Francese, per merito soprattutto di Sylvain Maréchal, Le Tellier e Mirabeau. Questi preconizzarono il sindacalismo britannico degli anni 1832-42. Come mezzo di opposizione al colpo di Stato di Luigi Napoleone Bonaparte, lo sciopero generale fu avanzata da Emile Girardin.
Durante il III Congresso dell’AIT la questione “sciopero generale” fu fortemente dibattuta dai delegati. Anche negli USA, in particolare a Chicago (vedi martiri di Chicago), durante le lotte sindacali del 1886 per le 8 ore lavorative, gli scioperi che si susseguirono, servirono da input per tutto il movimento operaio, che pure qualche stop lo aveva ricevuto dopo il tracollo della Comune parigina. In Francia, qualche anno più tardi, durante i lavori alla Borsa del Lavoro (1892), Fernand Pelloutier presentò un opuscolo redatto insieme a Henri Girare, intitolato Che cos’è lo sciopero generale? (1895), in cui si proponeva l’arresto collettivo del lavoro come mezzo di pressione sulla classe capitalistica. Sempre nel paese transalpino, durante i congressi della CGT del 1895-96-97-98 e 1900, fu diffusa un’intensa propaganda pro-sciopero generale.
Nel
1904 fu indetto il primo sciopero generale in Italia, per protestare contro l’eccidio di 4 minatori sardi a Buggeru. Due anni dopo si realizzò invece il primo tentativo francese.
Un momento importante della storia dello sciopero generale fu la rivoluzione russa del 1905, che rivelò la forza devastante dello sciopero generale, capace di coinvolgere tutto un paese. Nel testo Lo sciopero di massa, scritto da Rosa Luxemburg nel 1906, furono analizzate le vicende russe a partire dalle sommosse ingenerate dallo sciopero generale.
Sempre nel 1906, durante il Congresso di Amiens, organizzato dalla CGT francese, fu dibattuta a lungo la questione “sciopero generale”; lo stesso argomento fu affrontato anche durante il Congresso di Amsterdam (1907), in cui si sviluppò una interessante dibattito tra l'italiano Malatesta e il francese Pierre Monatte.
Storia dello sciopero generale in Italia
Nel 1900 si realizzò in Italia il primo abbozzo di sciopero generale, proclamato dai “lavoratori di ogni mestiere di Genova”, come forma estrema di protesta contro il decreto di chiusura della locale Camera del lavoro. Il primo vero e proprio sciopero generale italiano fu però quello proclamato dal 16 al 21 settembre 1904, in cui tutti i lavoratori italiani, sotto la guida in particolare dei socialisti rivoluzionari, misero in atto la teoria proposta da Georges Sorel: lo sciopero generale. Esso fu proclamato per protestare contro l’eccidio, voluto da Giolitti, dei minatori sardi di Bugerru (Cagliari); per quattro giorni il paese fu praticamente paralizzato: i giornali non uscirono, le fabbriche si arrestarono e i servizi pubblici non funzionarono.
Esattamente 10 anni dopo, le insurrezioni ingenerate dallo sciopero generale portarono l’Italia sull’orlo della rivoluzione sociale: durante la settimana rossa (7-14 giugno 1914) e nel biennio 1919-20, gli scioperi coinvolsero buona parte del paese ma in entrambi i casi lo sciopero generale si concluse con il “tradimento” dei sindacati riformisti.
Dibattito sullo sciopero generale nel XIX secolo e all'inizio del XX
In seno al movimento sindacale dell’inizio del XIX secolo, si sviluppano differenze sostanziali nei fini attribuiti allo sciopero generale: per le correnti riformiste, lo sciopero generale è un mezzo per ottenere dei miglioramenti parziali e immediati per i lavoratori\lavoratrici, settore per settore (sciopero generale settoriale) o totale, imponendo, con quest’azione economica, il voto di leggi a carattere sociale. La corrente facente capo a Jules Guesde si opponeva all’idea di sciopero generale, subordinando l’azione sindacale a quella del partito, al fine di poter conquistare il potere. Il partito, secondo Guesde, era il solo considerato in grado di poter mettere in opera la rivoluzione attraverso la messa in atto di uno “Stato operaio”. Lo sciopero generale divenne allora per i guesdisti una leva per permettere la presa del potere insurrezionale attraverso il partito operaio.
Per la corrente del sindacalismo rivoluzionario, lo sciopero generale era uno strumento utile per la rivoluzione, permettendo ai lavoratori\lavoratrici di prendere il controllo della totalità dell'economia e dei mezzi di produzione: arresto simultaneo della produzione in tutti i settori, distruzione dell'apparato di Stato, abolizione del patronato e del salariato e infine ripresa della produzione nella nuova economia socialista. Quest'ultima deve essere al servizio e sotto il controllo dei lavoratori tramite gli organi democratici controllati dai sindacati. Lo sciopero generale doveva essere molto organizzato e più breve possibile, al fine di evitare problemi per la popolazione derivanti dall'interruzione troppo lunga della produzione. Ovviamente questo sciopero doveva non iniziar spontaneamente ma essere organizzato e preparato poi dai movimenti parziali dei vari settori produttivi. Una nozione molto importante è quella di “ginnastica rivoluzionaria”: l'organizzazione sindacale doveva permettere l’ottenimento di miglioramenti immediati per i lavoratori impegnati nei vari scioperi, preparandoli in previsione dello sciopero generale. Le posizioni "guesdiste" e sindacaliste rivoluzionarie non furono altro che la prosecuzione dei dibattiti tra marxisti ed anarchici del XIX° secolo.
Guesde riprende con ancora più rigore le obiezioni di Friedrich Engels circa l’utilità dello sciopero generale. All’epoca infatti, in una maniera puramente teorica, si suggeriva che se tutti i lavoratori\lavoratrici partecipassero unitariamente allo sciopero generale, per un tempo sufficientemente lungo (si parla spesso di 4 settimane, il “mese sacro”, come dicevano i sindacalisti inglesi, i "cartisti"), sostenuti dalla classe operaia, il capitalismo affonderebbe. Per Marx ed Engels, queste posizioni sono quantomeno ingenue, tanto che con il tempo per loro lo sciopero generale era divenuto una sorta di parola d’ordine portafortuna per gli anarchici. Engels nel 1873 ironizzò: «Nel programma di Bakunin, lo sciopero generale è la leva che si utilizza per innescare la rivoluzione sociale. Un bel mattino, tutti gli operai di tutte le fabbriche di un paese, o anche del mondo intero, cessano il lavoro, costringendo così, in sole quattro settimane al massimo, le classi possidenti, sia a capitolare, sia a reprimere la classe operaia, dando così a questa il diritto a difendersi e nello stesso tempo ad abbattere le vecchie strutture sociali». Marx e Engels finirono con il considerare che lo sciopero generale non potesse giocare un ruolo particolare nella strategia operaia. Ma, nel 1893, Engels (Marx era già morto) riconsiderò la questione dello sciopero generale alla luce della lotta di classe in Belgio, dove, proprio grazie allo sciopero i lavoratori avevano fatto delle conquiste sociali e politiche importanti.
Lungi dal denunciare l’utilizzo di questa nuova tattica, egli mostrò che si trattava di un’arma efficace da usare però con precauzione. Come ebbe a dire in una lettera a
Kautsky: «Lo sciopero politico deve, o superare immediatamente con la con la sua sola minaccia (come in Belgio) o terminare con un fiasco colossale o, in definitiva, condurre direttamente alle barricate».
Sullo stesso argomento Trotzkij disse: «Come tutti i marxisti sanno, lo sciopero generale non è possibile che dopo che la lotta di classe si sia elevata al di sopra di tutte le esigenze particolari, sviluppando attraverso tutti i compartimenti delle professioni e dei quartieri, cancellando le divisioni tra sindacati e i partiti, tra la legalità e l’illegalità, e mobilizzando la maggioranza del proletariato in opposizione attiva alla borghesia e allo Stato. Al di sopra dello sciopero generale, non può esserci che l’insurrezione armata».
Dal 1968 ad oggi…
La sequenza degli scioperi che si susseguirono nel 1968, se non scosse il regime, nonostante la paura che attanagliò la borghesia, contribuì ugualmente ad un certo riequilibrio dei rapporti di forza tra il capitale ed il lavoro. Acquisizioni sociali di un certo rilievo, seppur minori di quelle a cui si era aspirato, poterono essere strappate al potere ed alla borghesia. Inoltre, questa nuova rapporto di forza si accompagnò ad una contestazione frontale dei valori borghesi. Da allora, si è assistito al graduale sovvertimento, a favore del capitalismo, di questi rapporti di forza. Ristrutturazioni gigantesche, a volte controllate dallo Stato stesso, scaraventarono in strada migliaia di lavoratori. L'offensiva della borghesia si accentuò in seguito, per ridurre ai minimi termini le conquiste sociali accumulate dell'ultimo mezzo secolo. Quest'elementi di "compromissione" tra lavoro e capitale, che alcuni ritenevano fattibili, furono del tutto eliminati a danno dei lavoratori.
L'azione pressante del capitalismo è stata tanto più efficace in quanto determinata decisamente al raggiungimento dei propri fini, e poichè non ha trovato altro che delle reazioni frammentarie, anche se talvolta molto spettacolari, e delle organizzazioni di lavoratori che hanno persistito nel pensare ad un possibile "compromesso", che invece la borghesia ha da tempo rifiutato. Così, in questi ultimi anni, le classi meno abbienti hanno lasciato l'iniziativa ad una borghesia gelosa dei propri privilegi, che non intende condividere in alcun modo il potere, desiderosa quindi di mantenere e incrementare in maniera esponenziale i suoi tassi di profitto. Con le sue azioni incessantemente più ossessive e violente, essa ha costretto i lavoratori ad assumere una posizione difensiva.
Lo sciopero, spesso utilizzato come arma disperata, rimane distante da ogni coordinamento, incosciente spesso del nuovo rapporto instauratosi tra le classi ed eccessivamente nostalgici del periodo in cui vi era un periodo di relativo equilibrio sociale che però che si è rivelato ingannevole, cioè una strategia della classe dominante. Quest’atteggiamento difensivo dei lavoratori non è un elemento facente parte di una strategia d'attacco, che lavora alla costruzione di un nuovo rapporto di forza, preludio, contemporaneamente, della costruzione di una nuova e futura strategia offensiva, cosciente questa volta dell' impossibilità di realizzare compromessi duraturi e vantaggiosi con il capitale e lo Stato. È quindi una necessità impellente che una "nuova coscienza", realizzi, anche sotto le forme sociali attuali, una rivolta elementare. Deve essere la base di una nuova coscienza di classe che risulti da una nuova coscienza politica indispensabile alla constatazione delle sfide legate alle relazioni di classe d'oggi. In occasione del movimento di questa primavera, abbiamo potuto intendere la parola d'ordine "Sciopero Generale" emergere qua e là, dalla bocca di militanti e militanti rivoluzionari, ma soprattutto delle frange più determinate di lavoratori dipendenti in lotta. Così, fra il personale più impegnato dell'istruzione nazionale (minoranza importante e molto attiva) è apparsa la dichiarazione del confronto necessario generale senza il quale le loro rivendicazioni proprie non hanno alcuna possibilità di realizzarsi. Lo stesso dicasi, ovviamente, per ogni movimento categoriale. Prima ed allo stesso tempo, delle sezioni sindacali di imprese che licenziano in massa si incontravano per costruire una reazione dei lavoratori all'altezza delle sfide denunciando chiaramente il capitalismo e difendendo l'urgenza della costruzione di una relazione di forza offensiva. Oggi, la necessità dello sciopero generale, la necessità di sintetizzare l'insoddisfazione crescente di tutti i lavoratori dipendenti, disoccupati e precari, germe nei movimenti. Senza presa di coscienza globale, senza lotta globale, sarà sempre più difficile fare avanzare qualunque richiesta e per qualunque categoria. Il nostro ciao è ancora una volta nell'unione attiva di tutti i lavoratori. Tuttavia, occorre mantenere i legami apparsi nei movimenti il rischio di dovere ripartire da zero ad ogni colpo torto del potere. Affinché necessità possa diventare realtà, coordinamento ed organizzazione sono di una importanza vitale, poiché nessun movimento che si voglia vittorioso può accontentarsi di vivere solo a parole.
da Anarchopedia

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