domenica 5 febbraio 2012

L’insurrezione antimilitarista del “non si parte!” (Sicilia, 1945)

L'insurrezione antimilitarista del "non si parte" è stata un'insurrezione popolare, realizzatasi nella Sicilia del secondo dopoguerra, contro la chiamata alle armi da parte dell'"esercito liberatore" anglo-americano. Franco Leggio e Maria Occhipinti furono due dei maggiori protagonisti di questa protesta antimilitarista.

I fatti.
La storia ufficiale è sempre la storia dei vincitori. Essa si spalma sulla storia vera tentando di otturarne i canali di trasmissione, quasi sempre orali, mentre negli archivi ufficiali giacciono documenti che potrebbero riportare alla luce fatti, episodi, storie, impigliati nei burocratismi, nelle sentenze, nell’ammucchiata confusa di scartoffie che solo pochi hanno l’ardire di consultare sino in fondo.
La storia siciliana dell’ultimo dopoguerra è fatta di microstorie dimenticate, cancellate, manipolate, piegate al senso che i vincitori hanno inteso dare alla loro lettura. Eppure, ogni tanto, qualcosa riemerge dal carsismo della memoria, e nello scontrarsi con le versioni ufficiali, riesce a ripianare un sopruso politico, ideologico, culturale, ridando aria a fatti sommersi e stimolando nuovi ricercatori a percorrere sentieri dimenticati.
I fatti del gennaio 1945, la resistenza popolare diffusa al richiamo alle armi voluto dal governo dell’Italia liberata, rappresentano un esempio limpido di questo scontro storiografico. Grazie alla tenacia di alcuni protagonisti, Franco Leggio e Maria Occhipinti, al loro rivendicare e scrivere di quel movimento, all’interesse di pochi curiosi, si è riusciti a tramandare un’altra versione di fatti frettolosamente bollati come “rigurgito reazionario e fascista, fino a quando questo filo conduttore non è stato ripreso da altre mani, ed il testimone, passando di mano in mano, ha rilanciato interessi, ricerche, memorialistica, fino al punto che oggi quella storia altra ha assunto la dignità della storia vera; e lo ha fatto ribaltando luoghi comuni e stereotipi ideologici.
Alla fine un fatto è chiaro: il popolo che rifiutò le cartoline precetto, che prese le armi contro i rastrellamenti dell’esercito, che odiava a tal punto la guerra da mettere in atto una sua piccola guerra insurrezionale contro i soloni della politica che a tavolino pianificavano eserciti da ricostruire e contingenti da richiamare, si è reso protagonista del proprio destino piegando al proprio interesse le scelte dei potenti di turno.
Oggi Maria Occhipinti è, agli occhi dei più, vecchi e soprattutto giovani, un’eroina; oggi si sprecano le tesi di laurea sui “non si parte”; oggi una comunità si è riappropriata di una sua storia della quale aveva tenuto celati sensi e contenuti, terrorizzata da rischi reali e ipotetici.
Questo è accaduto a Ragusa e in parte della sua provincia, non è accaduto in tanti altri posti del suo stesso territorio (esempio Vittoria, Scicli, Giarratana, Monterosso, Modica), non credo sia avvenuto a Naro, Palazzo Adriano, e nelle decine di località interessate dalla protesta; forse a Piana degli Albanesi.
Le stragi dimenticate di Biscari e Piano Stella, compiute degli americani liberatori nel 1943 contro contadini innocenti e soldati italiani prigionieri, stanno avendo l’identico destino del “non si parte” ragusano, grazie al tenace lavoro storiografico e all’incessante opera di contatti e ricerca, fatta da Gianfranco Ciriacono. La verità, una verità a volte scomoda, a volte sorprendente, viene alla luce, e ci fa vedere i fatti sotto un altro punto di vista. Non si tratta, come qualcuno ha inteso forzatamente vedere, di riequilibrare i giudizi tra nazifascismo e angloamericanismo, quanto di comprendere la vera natura del militarismo, e, rifiutando ogni tifo, ristabilire una distanza tra chi indossa una divisa e chi no.

Testimonianza.
«A Vittoria ci furono diversi appartenenti al Movimento. Mio padre si fece tre mesi di carcere, forse a Lampedusa. L'ho saputo dopo 50 anni, da un suo amico. Nessuno a casa me ne aveva mai parlato. La verità fu una sola: prima dell'8 settembre 1943, il tedesco in Sicilia era considerato un amico, un cameraden, grazie alla propaganda d alla ospitalità siciliana. Quindi nessuno aveva voglia di sparare contro i tedeschi, che fino a qualche giorno prima erano ospitati, qualcuno, nelle case e tenevano sulle gambe i figli dei siciliani. Come si fa a sparare ad uno che fino al giorno prima mangiava, tuo ospite, a casa tua?
Il proseguo della guerra, fu abbastanza duro. e molti non volevano partire per la guerra, ed in primo piano ci furono molte donne, in primo luogo la Occhipinti: "i nostri uomini non li mandiamo più in guerra". La Occhipinti fu eletta deputato dal P.C.I. Ci furono nella provincia di Ragusa, moti insurrezionali. Fu creata la Repubblica autonoma di Comiso ed anche quella di Modica; forse qualche altra. Ci vollero i blindati dei Carabinieri, e ci furono 7-8 morti. C'é qualche pubblicazione ed una tesi di laurea nell'archivio di stato di Ragusa. Il Messaggero di Roma, nel 1990 circa pubblicò un lungo e preciso articolo in terza pagina.

Cronologia delle rivolte siciliane dopo la caduta del fascismo.
Montesano (Salerno): nel corso di una rivolta durata 2 giorni, la popolazione occupa gli uffici pubblici distruggendo i documenti riguardanti le tasse e il razionamento, cercando anche di impadronirsi delle armi dei carabinieri. La rivolta avvenuta su probabile istigazione di elementi comunisti, scrivono i carabinieri nel loro rapporto, si conclude con un bilancio di 8 morti, 10 feriti e 55 arrestati.
La situazione nel corso del 1944 risente della crisi americana nella penisola. Molte risorse sono dirottate in Francia fronte principale. Badoglio, dopo la presa di Roma non è più neanche Ministro. L'uomo nuovo che sede al Governo è una marionetta degli americani. Si sono conclusi in questi mesi diversi accordi sia a livello locale che internazionale. Unità politica dell'Italia, sospensione sulla forma futura dello Stato. I separatisti vengono man mano estromessi, ma la situazione resta tesa in Sicilia. A Palermo, un plotone di fanteria del 139° Sabauda s.i. apre il fuoco sulla folla che dimostra per il pane: 23 morti e 158 feriti sono il bilancio della strage. A Licata stesso copione. Se fino ad allora le motivazioni della rivolta erano quelle alimentari una nuova miccia si andava accendendo. Venivano chiamate alle armi le classi 1924-1925. Il braccio politico del movimento separatista anche se sconfitto creava da una propria costola una formazione armata, l'Evis Esercito Volontario per l'indipendenza della Sicilia di Antonio Canepa, uomo di sinistra (noto col nome di battaglia di Mario Turri).
A Palma di Montechiaro (Agrigento), per stroncare la manifestazione della popolazione contro il richiamo alle armi, reparti militari sparano sulla folla uccidendo un uomo e una donna.
A Regalbuto (Enna), raduno separatista con Andrea Finocchiaro Aprile, Luigi La Rosa, Santi Rindone, Bruno di Belmonte, Guglielmo Carcaci, Concetto Gallo, Concetto Battiato, Isidoro Piazza, fra gli altri si verificano scontri e cade soto il fuoco dei carabinieri Santi Milisenna delPartito Comunista, segretario della federazione di Regalbuto. Altri due manifestanti vengono gravemente feriti.
A Licata (Agrigento), a causa del ritorno in carica all'ufficio di collocamento del già deposto gerarca fascista vi è una protesta popolare, durante la quale polizia e carabinieri aprono il fuoco, col risultato di tre caduti fra i manifestanti e circa 18 feriti. Alla protesta seguono 120 arresti.
A Partinico (Palermo), manifestazione contro il carovita e accaparratori di grano, sottufficiale dei carabinieri uccide Lorenzo Pupillo, minorenne, muore durante gli scontri il maresciallo dei carabinieri Benedetto Scaglione.
A Palermo, manifestazione pacifica popolare contro la mancanza di pane, ne consegue che un plotone di fanteria del 139° Rgt della divisione Sabauda spara sulla folla, col risultato di 23 morti e 158 feriti: ovvero vi è una connotazione di strage, secondo la definizione accettata dai siti ANPI e dagli esperti del settore. Fra i caduti della popolazione: Giuseppe Balistreri, Vincenzo Cacciatore, Domenico Cordone, Rosario Corsaro, Michele Damiano, Natale D'Atria, Giuseppe Ferrante, Vincenzo Galatà, Carmelo Gandolfo, Francesco Giannotta, Salvatore Grifati, Eugenio Lanzarone, Gioacchino La Spisa, Rosario Lo Verde, Giuseppe Maligno, Erasmo Midolo, Andrea Olivieri, Salvatore Orlando, Cristina Parrinello, Anna Pecoraro, Vincenzo Puccio, Giacomo Venturelli, Aldo Volpes.
Sui giornali però il comunicato imposto dal governo in carica recita: «In occasione di una dimostrazione diretta ad ottenere miglioramenti di carattere economico, compiuta ieri a Palermo da impiegati delle banche e dell’esattoria, gruppi estranei, sobillati da elementi non ancora chiaramente individuati, prendevano l’iniziativa per inscenare una manifestazioni sediziosa. Davanti alla sede dell’Alto Commissariato venivano esplosi colpi d’arma da fuoco contro reparti dell’Esercito, che erano così costretti a reagire. Si deplorano 16 morti e 104 feriti. L’ordine pubblico è stato ristabilito. Il Comitato provinciale di liberazione nazionale si è subito riunito ed ha dichiarato di mettersi a disposizione dell’Autorità governativa locale per la ricerca dei responsabili della manifestazione sediziosa».
ottobre 1944
A Licata (Agrigento), manifestazione di contadini, 2 morti e 19 feriti dovuti al fuoco dei carabinieri i carabinieri aprono il fuoco uccidendone due, ne conseguono 80 denunce di manifestanti.
A Catania, manifestazione contro il richiamo alle armi con conseguenti tumulti e devastazione del Municipio, della sede del Banco di Sicilia e degli uffici dell’esattoria comunale. In seguito i manifestanti si spingeranno fino alla sede del Distretto militare, ma i militari aprono il fuoco e cade morto Antonio Spampinato. Ne consegue l'arresto di 53 manifestanti, fra questi vi sono militanti conosciuti del movimento separatista siciliano quali Egidio Di Mauro, Salvatore Padova da Ispica, Giuseppe La Spina mentre Concetto Gallo, i fratelli Gullotta, Michele Guzzardi, Giuseppe Galli, Isidoro Avola, Guglielmo Paternò Castello vengono denunciati a piede libero.
A Pedara, al mattino vengono lanciate 5 bombe a mano in 2 distinte piazze del paese, senza danni; sempre nel corso della protesta per il richiamo alle armi, nel medesimo pomeriggio, a Vizzini, i carabinieri sparano sui dimostranti che stanno incendiando la sede del municipio, provocando 2 morti.
A Ragusa, l’esercito apre il fuoco, su dimostrazione che cerca di bloccare il trasporto dei giovani arruolati verso il fronte, sulla folla che tenta di bloccare un camion, che trasportava giovani verso il fronte; risulta gravemente ferito un giovane e ucciso il sacrestano della chiesa di San Giovanni; la rivolta dei cosiddetti non si parte, invece di sedarsi si alimenta.
A Ragusa, i non si parte prendono possesso di alcuni quartieri ed costruiscono barricate, dando così inizio ad una insurrezione armata; fra i dirigenti vi sono militanti socialisti ma ancor più comunisti. Questi ultimi non sono a conoscenza che l'organismo dirigente del loro stesso partito ha definito la loro insurrezione rigurgito fascista. L'esercito interviene in modo assai pesante col risultato di 19 morti e 63 feriti fra i rivoltosi a Ragusa e provincia. Alcune fonti storiche ritengono tali dati una sottostima di un accadimento definibile anche in questo caso come strage. (vedere fonti sentenze e regolamenti magistratura militare per esattezza)
A Naro, la rivolta dei non si parte si inasprisce. Gli organi di repressione dello stato fanno fuoco col risultato di 5 morti. Il bilancio della repressione sarà di 5 morti e 12 feriti; nel prosieguo vi sono 53 arresti.
A Licata, durante i tumulti contro la leva obbligatoria, viene assassinato un manifestante.
A Palermo, assalto da parte della folla all'ufficio delle imposte e all'ispettorato dei dazi e consumi; nel prosieguo i rivoltosi si dirigono verso la prefettura; muoiono negli scontri un commissario di p.s. ed un giovane operaio.
A Piazza Armerina (Enna), scontri fra dimostranti ed appartenenti agli organi di repressione dello Stato; un carabiniere fa fuoco su Giovanni Pivetti, militante socialista, che muore.
A Piazza Armerina, lavoratori protestano contro il carovita; ne conseguono cariche dei poliziotti, che costano una vittima ai manifestanti, oltre alcuni feriti. Le manifestazioni di protesta comunque proseguono per 2 giorni.

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