sabato 11 febbraio 2012

l'ANTIMILITARISMO LIBERTARIO

L'antimilitarismo è una dottrina e un movimento sociale che avversa la guerra e quindi le istituzioni militari, il loro sviluppo e quanto concorra all’esaltazione e alla diffusione dello spirito militaristico. Per gli anarchici l’antimilitarismo ha una valenza particolare e rappresenta la prosecuzione della lotta alla gerarchia, all’autorità, allo Stato e ad ogni forma di dominio e discriminazione.

Cenni storici all'antimilitarismo e l'anarchia
Gli eserciti si costituirono come forza repressiva atta alla difesa e alla protezione delle classi dominanti e dello Stato. Nel corso del tempo, in contrapposizione alle istituzioni militari, si svilupparono pensieri e movimenti antimilitaristi.
Uno degli anarchici più attivi nell'ambito antimilitarista dell'inizio del '900 fu Luigi Bertoni, anarchico italo-svissero. Bertoni lavorò alla realizzazione del congresso antimilitarista di Bienne (Svizzera) del 1909, al quale parteciparono i gruppi più radicali del movimento operaio svizzero: i sindacati romandi della Federazione delle Unioni Operaie, l’Unione Operaia di Zurigo che rappresenta 15.000 operai, la Lega Rivoluzionaria di Zurigo, una trentina di gruppi anarchici, due gruppi tolstojani e la sezione ticinese del Partito Socialista Svizzero.
In Italia, uno degli avvenimenti cruciali della storia antimilitarista si realizzò il 30 ottobre 1911, quando il muratore anarchico Augusto Masetti, al momento di partire per l’impresa imperialistica italiana Libia, nel piazzale della caserma Cialdini di Bologna, in un atto estremo di «insubordinazione con vie di fatto verso superiore ufficiale», sparò, ferendolo leggermente, al colonello Stroppa (il colonnello stava istigando i militari all’odio verso il popolo libico). [Questo fatto insieme a quello di Antonio Moroni - arrestato per le sue idee antimilitariste - determinò l’insurrezione della cosiddetta settimana rossa].
Particolarmente “effervescente” fu poi il movimento che si oppose alla I Guerra mondiale, anche se alcuni anarchici di spicco (Kropotkin, Grave, ecc.) redassero il Manifesto dei Sedici in favore della guerra (che sarebbe dovuta poi sfociare in rivoluzione sociale secondo i loro auspici). Malatesta, Leda Rafanelli, Virgilia D'Andrea ed Armando Borghi, solo per citarne alcuni, diedero vita in Italia ad un vivace movimento in opposizione alla guerra, che nell’agosto del 1917 sfociò in moti operai antimilitaristici a Torino, ammutinamenti di truppe in Francia, scioperi a Berlino (1918) e in altre città tedesche. In Gran Bretagna gli obiettori di coscienza furono trattati duramente, il filosofo Bertrand Russell fu allontanato dall’insegnamento presso il College di Oxford (1916) e successivamente arrestato (1918) sempre per propaganda pacifista e per il favore all’obiezione di coscienza antimilitaristica.
Alla fine si dovette riconoscere a questi obiettori il diritto di rifiutarsi di vestire la divisa, anche se questo elementare diritto non viene riconosciuto, ancora oggi, in tutti i paesi del mondo.
Molto scalpore hanno fatto le vicende legate all’obiettore di coscienza anarchico turco Mehmet Tarhan, arrestato, e successivamente rilasciato grazie alle mobilitazioni internazionali dei libertari di tutto il mondo, per aver semplicemente ascoltato la propria coscienza anziché le leggi dello stato turco.
L’antimilitarismo può avere motivazioni politiche, religiose, filosofiche ecc. ma è nell’anarchismo e nell'opposizione ad ogni autorità che però acquista il suo maggior significato.

L’antimilitarismo anarchico
Per antimilitarismo in genere si intende la contrarietà etica (individuale) e politica (collettiva) all’istituzione militare e all’esercito. A questo punto bisognerebbe chiedersi se esista o meno una specificità anarchica di questo rifiuto della divisa e conseguentemente alla prima domanda se anche il movimento anarchico in genere sia unanime o si differenzi ulteriormente.
Iniziamo subito dalle affermazioni di principio e dai distinguo. Il movimento anarchico non ha mai avuto la pretesa di monopolizzare ideologicamente l’antimilitarismo, ma ha sempre voluto attribuirgli una valenza particolare, in qualche modo di specificità propria che lo contraddistinguesse da tutti gli altri antimilitarismi.
Sembra, di primo acchito, una pretesa di superiorità boriosa di un gruppo di “duri e puri”.
La realtà, a nostro avviso, è ben altra, e cioè che l’antimilitarismo senza una lotta che metta in discussione l’esistenza stessa dello Stato, delle istituzioni e del sistema di sfruttamento capitalistico, potrebbe risultare monco.
Se è vero, infatti, che ciò che configura da un punto di vista giuridico il potere statale è l’uso legale della forza all’interno di un territorio dato, è chiaro che per difendere l’ordinamento vigente, il Potere si attrezzi con gli strumenti più conseguenti: la polizia, i carabinieri, l’esercito, i tribunali, le carceri e così via. Sarebbe troppo lungo dilungarsi, ma è evidente che il Potere si conforma ai livelli che lo scontro di classe, le culture ed i movimenti sociali e comunicativi esprimono in dato momento storico: tanto per fare un esempio si può supporre che il sistema penale medioevale fosse abbastanza differente da quello attuale, senza togliere nulla alle nefandezze del presente. Ricordiamo inoltre che non abbiamo per nulla una visione statica della storia e che pertanto, quando parliamo di momenti storici, pensiamo sempre ad una loro periodizzazione e contestualizzazione.
Chi ha un po’ di memoria storica, sa che tutti gli eserciti nascono con una duplice finalità: di repressione e di controllo interno (entità statuale genericamente definita dall’età moderna) e di repressione e di controllo dell’integrità territoriale di fronte ai nuovi o vecchi nemici. Tutte le più grandi repressioni antipopolari della storia sono state condotte dagli eserciti dei propri paesi e, quand’anche fosse stata fatta da un qualsiasi ‘invasore’, non è mai mancata l’attiva collaborazione delle forze patrie.
L’esercito, quindi, in base a questa funzione duale (interna ed esterna) non è mai stato scisso dal Potere che ad esso si accomunava e sorreggeva. Ecco perché non può bastarci un generico rifiuto dell’Istituzione militare senza che ad essa si accompagni un altrettanto serrata critica del potere statuale e delle sue diramazioni.
Siamo, secondariamente, abituati a sceglierci i nemici e gli amici senza che alcuno, al di sopra, ce lo imponga: non è la collocazione geo-politico-natale di una persona che ci interessa, ma cosa questa fa in quel luogo. O per meglio dire, se essa sfrutta o non sfrutta altri esseri umani, animali o vegetali, cosa ne pensa dell’omosessualità, dell’infibulazione, dell’autorganizzazione e così via.
Per quanto riguarda il postulato della repressione interna, essendo noi selvaggiamente ribelli alle cose esistenti, non possiamo che essere contrari a uomini e donne in divisa istituiti ed istruiti a farci accettare le cose così come stanno.
Per quanto concerne, invece, il secondo postulato, ci sembra più che ovvio che non accetteremo mai che uno ci dica che una popolazione di 10, 20 o 100 milioni di abitanti è nostra nemica. Né accetteremo mai che il Potere, inviando a combattere dei ‘professionisti della morte su vasta scala’, ci liberi dal dovere etico e politico di insultarlo e combattero ogni qual volta questo accada (vedi guerra in Kossovo, Iraq, Afghanistan).
Forse adesso si capisce un po’ meglio cosa ci contraddistingue dal degnissimo antimilitarismo cristiano o da quello social-comunista.
Non possiamo credere infatti, che esistano guerre giuste o sante o che l’esercito possa servire a costruire uno Stato socialista, ma semmai ad affondare il socialismo e a salvare lo stato; non possiamo credere che esistano eserciti popolari, ma solo antipopolari o che le missioni sotto egida ONU siano delle missioni umanitarie, ma possiamo credere che siano soltanto delle forme di guerra sotto altro nome.
Possiamo, dunque, dirci pacifisti? Sì, a patto che a questo termine non vengano concesse deroghe di sorta: «ricerca della pace sempre, ma lotta mai pacificata ad ogni forma di sfruttamento e di dominio».

Pacifismo, antimilitarismo e anarchia
Pacifismo e antimilitarismo non sono necessariamente sinonimi, infatti mentre per forza di cose i veri pacifisti sono anche antimilitaristi, questi non necessariamente devono essere pacifisti.
Tutti gli anarchici non possono che essere antimilitaristi, perché tutti gli anarchici rifiutano l’autoritarismo, la gerarchia militare e l’uso degli eserciti come strumento di repressione o di sostegno al capitale. Tutti gli anarchici odiano la violenza ed auspicano una società pacifica ed egualitaria, alcuni però pensano che per giungere a questo fine si possa anche utilizzare una violenza misurata e proporzionale, i pacifisti invece ritengono che una società giusta e pacifica possa costituirsi solo con l’utilizzo di mezzi non violenti. In ogni caso i pacifisti non possono che essere antimilitaristi visto che il pacifismo è:
« Movimento, tendenza di chi mira a risolvere le vertenze fra gli stati non con la guerra ma con trattative o arbitrati internazionali»
«Movimento internazionale che tende a mantenere la pace tra i popoli».
«Dottrina che propone l'abolizione della guerra»
«Movimento ispirato all'idea di bandire la guerra come strumento per la soluzione delle vertenze internazionali».
Volutamente in malafede, spesso i media utilizzano strumentalmente i due termini come fossero sinonimi, di modo che un antimilitarista non pacifista possa essere bollato come incoerente e ipocrita. In realtà l’ipocrisia sta in chi, orwellianamente, si definisce pacifista ma anche militarista e che sostiene le fantomatiche operazioni militari di pace («la guerra è pace»).
L’antimilitarismo è semplicemente uno dei mezzi attraverso cui è possibile realizzare quella società pacifica e giusta cui tutti gli anarchici auspicano.

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