domenica 12 febbraio 2012

il BIENNIO ROSSO (Italia 1919/1920)

Consigli ed occupazioni di fabbrica in Italia (1919-20)
Gli scioperi, i tumulti e le occupazioni delle fabbriche, che si susseguirono nel biennio 1919-1920 (biennio rosso), fu uno storico momento del movimento dei lavoratori teso alla costituzione di organismi (Consigli di Fabbrica) in grado di autogestire le fabbriche ed emanciparsi dalla classe sfruttatrice. Il movimento dei Consigli fu poi sconfitto a causa soprattutto del tradimento dei sindacati riformisti, che portò poi come conseguenza la reazione borghese e l'avvento del fascismo.

Contesto storico
Tra la fine della prima guerra mondiale e il primissimo dopoguerra si creò in Italia un clima da vigilia di rivoluzione: le proteste del movimento antimilitarista, la contro la disoccupazione imperante, le oggettive difficoltà del vivere quotidiano e le speranze suscitate dagli avvenimenti rivoluzionari che stavano investendo la Russia, esplosero in un succedersi di scioperi e tumulti vari.
I primi segnali di malcontento popolare si manifestarono a Torino. Il 22 agosto 1917 spontaneamente i lavoratori incrociarono le braccia contro la guerra e il padronato; gli anarchici torinesi della Barriera di Milano (Maurizio Garino, Pietro Ferrero, ecc) furono tra i principali protagonisti dei tumulti che scoppiarono in tutta la città. Una settimana dopo, la violenta repressione poliziesca (50 morti tra gli scioperanti, 10 tra gli esponenti della forza pubblica e oltre 1000 arresti) pose termine alle proteste.

Gli eventi del 1919: prime occupazioni e nascita dei "consigli operai"
Dopo le elezioni del 1919 (Ministero Nitti), la grave situazioni economica del paese esplose in una serie di innumerevoli scioperi e occupazioni.
Ad agosto iniziarono le occupazioni delle terre abbandonate (il 24 agosto vengono occupate terre dell’agro romano) che proseguiranno nel mese di settembre (100000 braccianti occupano le terre di 15 feudi del trapanese). Già a marzo, a Dalmine (prov. Bergamo), si realizzarono le prime estemporanee occupazioni di fabbriche, ovunque sorsero i Soviet locali e nel fiorentino si costituì un'effimera "Repubblica dei Soviet" (sciolta dopo solo 3 giorni).
A Torino, grazie soprattutto al lavoro degli anarchici (Maurizio Garino, Italo Garinei e Pietro Ferrero su tutti…), prese avvio quel corso degli eventi che portò alla formazione dei "Consigli di fabbrica", ovvero organismi con cui gli operai intendevano controllare la produzione e gettare le basi della “prossima” rivoluzione: il 1° novembre l’assemblea della Sezione torinese della FIOM approvò l’ordine del giorno "Boero-Garino" «a grande maggioranza» che portò alla «costituzione dei Consigli operai di fabbrica, mediante l’elezione dei Commissari di reparto». Si costituì un nuovo consiglio direttivo, provvisorio, in cui Pietro Ferrero assunse le funzioni di segretario, dopo che la carica era stata declinate dallo stesso Garino. Questi e Ferrero agirono spesso in stretta collaborazione con i comunisti de «L’Ordine Nuovo», nuovo giornale comunista di Antonio Gramsci.
Al Convegno straordinario della FIOM di Firenze (9 novembre-10 novembre 1919), Boero e Garino ottennero che i vertici federali permettessero l’«esperimento dei Consigli di fabbrica» intesi come «la continuazione dell’opera delle Commissioni interne coordinata con quella dell’organizzazione». Nel dicembre dello stesso Maurizio Garino partecipò al Congresso straordinario della CdL di Torino presentando una mozione a favore dei Consigli, ritenuti «ai fini dei principi comunisti-antiautoritari, organi assolutamente antistatali e possibili cellule della futura gestione della produzione agricola e industriale».

Le occupazioni delle fabbriche
Le elezioni del giugno 1920 (Ministero Giolitti) e il proseguimento della grave crisi, portarono come conseguenza l’incremento del numero degli scioperi: nel gennaio 1920 scioperarono i postelegrafonici e i ferrovieri (spesso i ferrovieri fermavano i treni su cui viaggiava la guardia regia o le armi destinate a combattere i Soviet russi). Tra febbraio e marzo si moltiplicarono gli scioperi dei braccianti e gli scontri tra manifestanti e forza pubblica erano ormai all’ordine del giorno.
Il 30 agosto 1920 la direzione dell’Alfa Romeo di Milano, proclamò la chiusura della fabbrica. Spontaneamente gli operai impedirono questa mossa occupando lo stabilimento ed estendendo, con la partecipazione di mezzo milione di lavoratori, la protesta e le occupazioni ad altri 280 stabilimenti milanesi e poi al resto d'Italia. Le occupazioni si concentrarono in particolare nel cosidetto triangolo industriale: Milano, Genova e Torino. Nel capoluogo piemontese gli anarchici svolsero un ruolo di primo piano, riconosciuto anche da esponenti comunisti come Antonio Gramsci, soprattutto grazie al lavoro di quelli facenti parte della minoranza anarchica della FIOM: Maurizio Garino, Italo Garinei e Pietro Ferrero.
Il partito socialista (PSI) e il sindacato socialista della CGL (al cui interno vi erano però alcune componenti minoritarie d’ispirazione comunista e anarchiche, che erano in forte opposizione alla maggioranza riformista) non s’impegnarono più di tanto per sostenere i lavoratori nelle loro massime aspirazioni.
Gli anarchici, oltre che come minoranza della CGL (erano presenti soprattutto nella FIOM, sindacato dei metalmeccanici aderenti alla CGL), erano pure attivi nell’UAI (Unione Anarchica Italiana) e nell’USI, differenziandosi dalle organizzazioni sindacali in quanto si opponevano alla mentalità del salariato, educando ed istruendo gli operai all'autogestione e all’abbattimento di ogni gerarchia.
I Consigli di Fabbrica
Il primo consiglio di fabbrica si costituì a Torino nel settembre del 1919, da cui successivamente scaturì un dibattito interno al movimento operaio, sulla funzione che i consigli dovessero assumere nel contesto sociale, lavorativo e in quello politico.
Si distinsero tre correnti di pensiero: quello dei riformisti, dei massimalisti socialisti (tra cui il movimento de “L'Ordine Nuovo” di Gramsci che formeranno nel 1921 il Partito Comunista d’Italia) e degli anarchici.
I primi volevano i consigli all'interno dei sindacati, in modo da annientare l'indipendenza degli stessi.
I secondi consideravano i consigli come organi rivoluzionari tendenti alla conquista del potere politico.
Gli anarchici al contrario vedevano nei consigli di fabbrica degli organi rivoluzionari, rappresentanti di tutti gli operai (e non solo di quelli che pagavano la tessera del sindacato) e capaci, non di conquistare il potere, ma di abbatterlo.
Il già citato Garino, concludendo la sua relazione sui consigli di fabbrica e di azienda al Congresso dell'Unione Anarchica Italiana (Bologna - /4 luglio 1920), affermò che «come mezzo di lotta immediata, rivoluzionaria, il consiglio è perfettamente idoneo, sempre ché non sia influenzato da elementi non comunisti».
Il consiglio di fabbrica era composto da operai con elevate competenze tecniche, quindi capaci di gestire il ciclo produttivo.
L’idea degli anarchici fu quello di formare un consiglio strutturato orizzontalmente senza capi e subordinati: ogni reparto sceglieva un commissario nella persona di un operaio, che aveva il compito di esaminare il ciclo di produzione, comunicando poi il tutto ai compagni di reparto, in modo da eliminare ogni gerarchia di funzioni direttive all'interno della fabbrica. I commissari di reparto avevano anche il compito di nominare il consiglio di fabbrica e inoltre la loro carica, come tutte le altre cariche, era, da parte della base, revocabile immediatamente.
Contemporaneamente, a livello nazionale, cercarono di collegare, sulla base di un federalismo strutturato orizzontalmente, tutti i consigli di fabbrica, in modo da sottrarsi al controllo dei partiti e dei sindacati.

La rivoluzione mancata e il ruolo dei riformisti
Il Primo ministro italiano (Giolitti), non sgomberò le fabbriche, come molti gli chiedevano di fare, ma lasciò che la protesta perdesse gradatamente la sua carica aggressiva, confidando anche nella collaborazione data dall’ala riformista del PSI e della CGL, che isolati dal reale movimento operaio e distaccandosi dalle richieste dei lavoratori, avallarono questo progetto in cambio di qualche conquista sindacale.
Tutto questo portò a rafforzare la sfiducia, la stanchezza e la confusione fra gli operai, a convincerli che fosse necessario disarmarsi e abbandonare le fabbriche occupate, favorendo così la reazione padronale e l'instaurazione successiva della dittatura fascista, che peraltro fu ampiamente profetizzata da Errico Malatesta: «Se gli operai abbandonano le fabbriche, si aprono la porte alla reazione del fascismo».
Alla fine dell'esperienza, Maurizio Garino accuserà i dirigenti nazionali sindacali di avere in qualche modo illuso «la massa operaia che non distingue se il movimento fosse sindacale o politico, aveva creduto che voi sareste andati fino in fondo, che voi l’avreste condotta al gran gesto rivoluzionario» [1].

Bibliografia
Angelo Tasca, Nascita e avvento del fascismo, a cura di Sergio Soave, La Nuova Italia, 1995
Paolo Spriano, L' Ordine Nuovo e i Consigli di fabbrica. Con una scelta di testi dall'Ordine Nuovo (1919-1920), Einaudi, 1973
Paolo Spriano, L'occupazione delle fabbriche. Settembre 1920, Einaudi, 1964
Giuseppe Maione, Il biennio rosso. Autonomia e spontaneità operaia nel 1919-1920, Il Mulino, 1975
Giuseppe Andrea Manis, Antonio Gramsci e il movimento anarchico nel periodo de L’Ordine Nuovo, edizioni Bi-Elle, 2008
Maurizio Garino, L’occupazione delle fabbriche nel 1920, «Era nuova», 1° apr. 1950;
Maurizio Garino, L’incendio della Camera del Lavoro di Torino (1922), in Dall’antifascismo alla resistenza. Trenta anni di storia italiana, Torino 1961.
Pier Carlo Masini, Anarchici e comunisti nel movimento dei Consigli a Torino, Torino 1951;
G. Lattarulo – R. Ambrosoli, I consigli operai. Un’intervista con il compagno Maurizio Garino, «A», apr. 1971;
M. Antonioli, B. Bezza, La Fiom dalle origini al fascismo, 1901-1924, Bari 1978, ad indicem;
M. Revelli, Maurizio Garino: storia di un anarchico, «Mezzosecolo», n. 4, 1980/82

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